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Quanto manca agli eSports italiani per spiccare il volo


francesco gabriele - 9 Luglio 2019 - 1 comment

Popolo di santi poeti e videogiocatori. Siamo noi italiani, un esercito di 26 milioni di gamers che alimenta quella che è ormai la prima industria dell’entertainment del nostro Paese. Numeri alla mano, il mercato del gaming ha infatti superato ampiamente gli incassi dell’editoria (1,4 mld di euro) e surclassato addirittura quelli del cinema (584 milioni). Una crescita costante e assolutamente in linea con il boom dell’intero settore a livello internazionale, ma che rispetto ad esso registra ancora un’anomalia: gli eSports.

Se nel resto del mondo gli sport elettronici raggiungono già vette di viewership paragonabili a tutti gli effetti a quelle degli sport tradizionali – nel 2017 la finale di League of Legends è stata vista da 58 milioni di persone, superando le NBA Finals e rimanendo dietro solo al Super Bowl – , in Italia il fenomeno fatica ancora ad esplodere in via definitiva. Basti pensare che meno dell’8% dei videogiocatori – che è bene ricordarlo, sono in media 1 ogni 2 abitanti – è a conoscenza di questo universo o ne è fan. Il motivo? La carenza di sponsorship di alto livello in grado di veicolare i tornei organizzati a un’audience “di massa”. 

L’ecosistema italiano degli eSports è ad oggi una costellazione di piccoli e medi eventi principalmente mirati a una nicchia di appassionati. Non vi è ancora stato, insomma, un serio tentativo per ingaggiare il target “mainstream” e portare all’attenzione del grande pubblico il gioco competitivo. Ciò non vuol dire però che non vi sia attività: le competizioni sono presenti e alcune pure collegate a quelle continentali e mondiali, ma in quanto a seguito, giro d’affari e importanza sono di certo secondarie.

Parte della mancanza di investimenti efficaci nel settore è attribuibile anche al modo in cui il mondo del gaming è percepito da coloro che ne sono estranei. In Asia, Nord America e alcuni Paesi europei gli eSports sono considerati un business valido, legittimo e soprattutto pregno di opportunità, motivo per cui anche la figura del gamer professionista è accettata, riconosciuta e anche ben retribuita. Così è normale assistere a giganti come Mastercard, Red Bull, Mercedes o Adidas che finanziano eventi dai montepremi milionari e team come fossero squadre di calcio di prima fascia. Da noi, invece, il gaming competitivo è meno noto, e per questo a torto sottovalutato

Ciò detto, è innegabile che un’inversione di tendenza stia avvenendo anche in Italia. Ne è una testimonianza la sponsorship tecnica di Armani Exchange con il team Mkers, uno dei più importanti a livello nazionale e recentemente premiato fra le migliori start up innovative italiane. O ancora il coinvolgimento di Vodafone e Unicredit nei principali eventi oggi esistenti e persino la creazione di una lega di eSports da parte di un simbolo del calcio come Francesco Totti. Le potenzialità economiche di questo mondo vengono gradualmente recepite e la corsa per cavalcare l’onda è appena cominciata. 

Un salto di qualità in questo senso lo porteranno infrastrutture, organizzazioni e federazioni nazionali ormai prossime alla nascita, trascinando l’intero settore verso una nuova era sempre più professionale e credibile, sulle orme di quella degli sport tradizionali. 

La sensazione è che, per quanto in ritardo, il mercato italiano degli eSports stia per spiccare il volo. E che i primi che investiranno seriamente in grandi eventi, portando l’enorme bacino di potenziali fan a conoscere questo mondo, si prenderanno una grossa fetta della torta.

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